Giovaninno e il cecchino, ovvero quando la caccia…(seconda parte)5 min read

….Così come il babbo, il Cecco divenne subito un cacciatore solitario, nel senso che andava da solo a caccia, e quindi non caccia al cinghiale, ma caccia libera da penna e da pelo.

La fortuna volle che io gli offrissi un servizio per lui indispensabile. Un anno si dette alla caccia in padule, agli uccelli “acquatici”. Era tanta e poi tanta la cacciagione che portava a casa che non sapeva più dove metterla. Non aveva un congelatore a casa sua, mentre io ne avevo un nuovo e bello grande, da giovine sposo che aveva appena messo su famiglia. Tutto da riempire. Mi chiese se poteva metterci  le sue prede e io come potevo dirgli di no?

Si presentava quasi sempre con una discreta quantità di animali, ma soprattutto erano uccelli che io non avevo mai visto. E certi nemmeno avevo mai sentito nominare. Certo un Germano reale si riconosce bene, ma un Barazolo (Alzavola), un  Pinzacchio (Frullino), una Migola (Pavoncella), un Beccaccino, un Piviere e diversi  altri, chi l’aveva mai visti? Comunque il congelatore si riempiva sempre di più e io naturalmente ogni tanto provavo la qualità di questa mercanzia. Devo dire che ci voleva un po’ di prudenza e un po’ di mestiere, cotture un po’ più attente, da sperimentare, ma insomma erano sempre qualcosa di più che essere solo commestibili.

Le pappardelle con il Germano certo non erano solo commestibili, erano divine.

Insomma arrivati alla fine della stagione il congelatore fu completamente pieno! Gli chiesi cosa ne volesse fare e lui senza nemmeno stare a pensarci: mangiali! Si, si fa presto a dire mangiali, ma qui ce n’era un sacco e una sporta!  “Fai un po’ come ti pare, tanto in casa mia il mi babbo un ne vole di certo”. E questo lo sapevo perchè la Pinzacchia (il soprannome di mio suocero) che cacciava tutto, mangiava solo poche scelte cose: salsicce, ammazzafegato, agnello, acciughe, aringhe, e poche altre cose. Praticamente mai la caccia.
E allora a casa mia si cominciò a mangiare di questi uccelli ad ogni occasione. Ma non si riusciva a far scendere in maniera consistente il livello del congelatore. Poi la solita lampadina mi si accende per una “soluzione finale”.

Io non sono mai stato cacciatore, ma ho sempre avuti buoni rapporti con loro, specie se si trattava di cucinare. Già a casa mia, ereditando il compito di mio babbo, provvedevo a fare l’arrosto allo spiedo per tutta la famiglia. Nel periodo della caccia in pratica quasi tutte le domeniche. E quindi oltre agli uccelletti, negli stidioni finivano anche il pane ed il rigatino, ma ci poteva andare a rifinire anche qualche fegatello, qualche salsiccia, e compagnia cantando, come dice il mio amico Carlo.

Ecco allora l’idea: organizzo uno arrosto allo spiedo con gli uccelli di taglia più piccola e invito tanta gente. Quando si tratta di mangiare i clienti si trovano facendo anche solo un fischio. Io ne misi insieme un bel po’, una quindicina, mi pare. Naturalmente gli uccelletti furono ben pelati, fiammeggiati, pillottati con la massima cura (in pancia aglio, salvia, sale, pepe e un’idea di rigatino) e intramezzati da altri pezzi pregiati e saporiti come i fegatelli, salsicce e pancetta fresca. Tutto allo spiedo. Di contorno finocchi, sedani a pinzimonio per stemperare il sapido dell’arrosto, e vino. Tanto e buono. Anche questo serve, anzi è indispensabile.

Si perché l’arrosto allo spiedo va atteso a tavola, deve essere tolto dal fuoco all’ultimo momento  e mangiato. Questo fa sì che nell’attesa , dopo un buon fumante primo generalmente con sfoglia fatta in casa, poi tra pinzimoni e qualche bicchiere si arriva al mangiare già con la caldaia in pressione.

Naturalmente nessuno sapeva che uccelli fossero in realtà, perché se uno t’invita a mangiare un arrosto girato di uccelletti non ti metti di sicuro a chiedere che uccelli sono. Il rischio era costituito dal fatto che gli invitati erano quasi tutti cacciatori e io non volevo dire che era tutti uccelli “acquatici”.

Sarà stato il vino, sarà stata la pillottatura, insomma la gente mangiava e non faceva altro che fare complimenti: ma come sono buoni, bravo Roberto e così via.

Poi Antonio, come il conte Ugolino,  solleva  solo un momento la sua testa pelata dal piatto e mi fa:

"Ma che bestie so queste?”

"Beccacce – rispondo pronto io – non si sente?"

"Si, ma te tutte queste beccacce, mi dici dove l’hai trovate?"

 Antonio non è del nostro paese, è di Montorgiali, ed è un cacciatore di beccacce.  Se gli va bene riesce a prenderne una o due per anno. E li ce n’erano una ventina e più. Quindi logico che fosse meravigliato. Non preparata mi venne al volo la risposta:

“Dalla Sardegna, che vuoi trovare tutte queste bestie qui in Maremma?”

"No, infatti – dice lui – me l’ero immaginato!"

Ributta giù il capo e riprende la sua opera di divoratore spietato e meticoloso.

Si arriva alla fine, al formaggio, tanto per “ripulirsi la bocca” e chiedo com’è andata. Tutti, dico tutti, a fare complimenti e poi esce fuori quello più vispo che ti spara:
"Certo ragazzi, avete voglia a di’, ma la Beccaccia è tutta una cosa speciale, non c’è niente da dire!"

E finalmente sbottai “Veramente qualcosa da dire ci sarebbe, perché voi vi siete mangiati una ventina di uccelli acquatici, tra pivieri, pinzacchi, migole e qualche barazzolo, scambiandoli tutti per beccacce, che un c’è n’era manco una, cacciatori dei miei stivali!”

Cominciarono a guardarsi e capirono che l’avevo beffati, ma siccome avevano sbagliato loro la presero con filosofia, ci risero sopra e si sperticarono a fare le lodi a me che l’avevo talmente ben sistemati e cucinati che era quasi impossibile accorgersene.

Solo Antonio brontolò: “Lo dicevo io che erano troppe pe’ esser beccacce!”

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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