Il “Caso Sauvignon” è sempre un caso?6 min read

Vi ricordate “il caso sauvignon”? Alcune testate regionali avevano creato titoloni da “mafia capitale”. Sauvignon connection, lo avevano chiamato.

Si, proprio come se al vertice vi fosse un deus ex machina e alla base gli adepti pronti a trasformare, obbedire e nascondere. Noi lo avevamo definito subito “Un “buco nel vino”, mentre il mondo enoico e viticolo si era già diviso in tre schieramenti ben delineati: i detrattori, gli indecisi e i convinti.

I detrattori sono quelli che si son visti soffiare un premio, una poltrona, un riconoscimento, un posto a tavola.

I convinti sono coloro che, lavorando sempre nel settore e avendo conosciuto da vicino i produttori coinvolti hanno deciso di credere e difendere sempre il territorio contro le malelingue, mettendoci anche la faccia. Tra questi chi da oltre 10 anni conduce ricerche, studi mettendo in pratica scelte agronomiche basate su esperienze dirette o condotte in altri Paesi.

Gli indecisi. Forse lo schieramento più subdolo: aspettano solamente da che parte sta la verità per poter dire alla fine, qualunque sia l’esito, “l’ho sempre pensato”.

Facciamo un passo indietro

Tutto scoppia i primi di settembre 2015. Subito Il procuratore Antonio De Nicolo annuncia di voler fare chiarezza sull’intera vicenda e garantisce che esistono prove che avvalorano l’accusa. Afferma altresì che non vi sarà l’intento di rendere pubblici i nomi delle aziende.

Dopo poche ore una testata locale riesce a sapere chi è indiziato e da quel momento articoli con i nomi delle aziende escono un giorno si e uno anche. Tutti con il dito puntato.

Lo stesso Tommaso Cerno, allora direttore del Messaggero Veneto dichiarerà “Nessuna censura sul caso Sauvignon”.

Le Indagini iniziali vengono svolte con dispiegamento di uomini e mezzi: si fanno blitz come se si fosse alla ricerca di sostanze stupefacenti o mazzette di denaro contraffatto. Produttori trattati come spacciatori o delinquenti. Ad alcuni vengono sequestrati computer, quaderni, diari commerciali creando situazioni molto difficili.

Ne parlano la RAI FVG e diverse testate locali. Anche emittenti di altre regioni trattano la vicenda e così la notizia arriva all’estero.

L’effetto è devastante. Molti produttori si vedono cancellare ordini già consegnati, alcuni si vedono costretti a riprendere in mano la propria attività commerciale e tornare personalmente dai vecchi clienti: per “ripulirsi la faccia”, dicono.

Alcuni si trovano costretti a spiegare ai loro importatori esteri “cosa c’entri la mafia (connection) con il Sauvignon”.

Altri sono costretti a chiudere le attività collaterali (agriturismo, trattoria) perché “Anche i vecchi clienti ormai non si fidano più”.

SI fanno tanti esami ma…

Nel frattempo sono state eseguite analisi e altre analisi e ancora analisi (quindi soldi, soldi e ancora soldi) che pare non abbiamo mai condotto a un solo risultato che potesse dimostrare la presunta colpa degli indagati.

Ai primi esami di laboratorio, esami voluti fortemente dall’accusa, e ai relativi risultati inconcludenti, lo stesso procuratore avrebbe risposto “questi esami sui mosti non sono importanti. Ci atterremo ad altre prove”.

Nel frattempo si parlava di “sostanze non dannose”, poi di “sostanze non regolamentate dai disciplinari di produzione”. Faccio notare che anche lo zucchero è vietato nelle pratiche enologiche e non è certo dannoso: viene utilizzato Paesi con grandi tradizioni enoiche e lì è legalmente riconosciuto.

Intanto, proprio perché non si sapva di cosa si stava parlando escono sulla “sostanza miracolosa”, “il lievito straordinario”.

Qualsiasi allievo al primo corso AIS, per non parlare di produttori o enologi, sa che ogni azienda che commercia in prodotti enologici propone una serie di lieviti “a seconda del vino che si vuole produrre, degli aromi che si vogliono ottenere, dei risultati che si vogliono raggiungere”.

Basta andare su qualunque dei siti di queste aziende e alla voce lieviti si trovano tutta una serie di delucidazioni relative al lievito preferito, con annessa descrizione. Per cui alla luce del sole ogni produttore può scegliere in piena tranquillità il lievito che ritiene opportuno per i propri vini.

Eccoci al “lievito del mostro nel mosto”

A testimonianza che ci si stesse arrampicando sugli specchi c’è anche un’altra questione: nel periodo dedicato alle indagini sono state sentite tutte le persone che avevano avuto con “l’indagato chiave”, anche solamente un semplice scambio di battute telefoniche o via sms per questioni enologiche “convenzionali”, quindi non legate al Sauvignon. Sono state sentite persone che avevano conosciuto “l’enologo” per caso o incontrato per motivi di lavoro. E per questo motivo alcune di loro, non produttori, sono state trattate come potenziali complici di un qualcosa di incerto e soprattutto , non dimostrato.

Inoltre se fosse esistito questo “lievito madre”, unico utilizzato da tutti gli indiziati, avremmo avuto Sauvignon tristi e standardizzati, tutti uguali, tutti con lo stesso spettro olfattivo, tutti con la stessa impronta.

Fortunatamente ciò che ancora fa la differenza sono le annate, i produttori, i terreni, le esposizioni, le scelte vendemmiali, la scelta dei cloni. Un’immensità di variabili che chi non è del settore dovrebbe conoscere prima di dare fiato alle trombe.

E oggi?

Cosa succede oggi? Un caro amico giornalista, Mauro Nalato, scomparso lo scorso 13 settembre, ha dedicato un piccolo libro alle indagini, concludendolo con un pensiero “Grazie ai produttori”.

Il suo grazie arrivava dalla constatazione che i produttori, mettendosi tutto nelle mani degli avvocati non avevano mai preso in considerazione, nonostante le continue proposte a una mediazione, di scendere a compromessi.

Li aveva ringraziati perché accettare la mediazione avrebbe voluto significare “ammettere” un qualunque, se pur minimo, coinvolgimento nella vicenda.

Oggi purtroppo le cose son cambiate ma penso che anche Mauro Nalato avrebbe compreso.

Affidarsi nelle mani di un avvocato per vicende giudiziarie anche di poco conto, vuol dire dover mettere mano al portafoglio, vuol dire doversi logorare giorno dopo giorno per qualcosa che non si è commesso e nel frattempo vedersi nel limbo del “chissà”. Vuol dire dover aspettare l’esito di un qualcosa che sblocchi commercialmente le condizioni della propria azienda.

Alcune cantine nonostante tutto riescono a sopportare e a tenere duro, ma altre cantine (a quanto pare) avrebbero preferito patteggiare.

Ma in questo caso patteggiare non vuol dire ammettere di essere colpevoli, vuol dire “basta, sono stanco, non voglio che mi porti via quel poco di energia che mi rimane”.

In cosa sarebbe consistito il patteggiamento? A quanto pare nell’invio alla distillazione di una partita di vino (non ad un declassamento a vino da tavola) e forse in una piccola sanzione.

Cui prodest?

Chi esce soddisfatto da tutto questo? Onestamente è difficile dirlo.

Alcuni produttori avrebbero avuto accesso agli atti per poter verificare chi fosse stato in grado di lanciare il sasso nascondendo la mano. Fino a quel momento si erano susseguiti vari nomi ma oramai siamo alla certezza che tutto sarebbe partito proprio da chi avrebbe dovuto impegnarsi nella promozione del territorio.

E’ mentalità tipicamente italiana quella di non riuscire a tutelare il proprio territorio da situazioni del genere, con tutto quanto si portano dietro: maldicenze, strascichi, rabbie mai sopite e naturalmente problemi commerciali.

Detto questo nessuno si vuole porre a giudice assoluto e magari qualche sbaglio è stato fatto. Chi può saperlo.

E’ ancora mentalità tipicamente italiana quella di gridare prima “al lupo” e poi magari accorgersi di essere andati troppo oltre (basta guardare a tanti “scandali” dell’italietta enoica). Nel caso friulano sono convinta che se chi ha condotto le indagini avesse conosciuto personalmente il mondo viticolo e soprattutto il modo moderno di produrre avrebbe avuto un approccio diverso dell’intera vicenda.

Forse non sarebbe neanche esistito il caso Sauvignon.

Simona Migliore

Siciliana DOC, nasce a Vittoria, patria del famoso Cerasuolo. La formazione umanistica viene arricchita dei profumi delle vendemmie siciliane grazie alla collaborazione con un’azienda vitivinicola siciliana. Non beveva ancora e non aveva assolutamente idea di cosa il meraviglioso mondo del vino e della gastronomia celassero!!!

La curiosità per il mondo del vino cresce al punto da spingerla a lasciare la Sicilia. Frequenta il mondo AIS, ma decide di sposare i principi e i metodi dell’Onav. Si diletta a “parlar scrivendo” bene o male dei posti in cui si ferma a mangiare e degustare. Esperta degustatrice, Donna del Vino, esperta di analisi sensoriale, collabora con enti, consorzi e aziende vitivinicole…da qualche anno è entrata nel mondo degli Artigiani Birrai del FVG.

Nel 2009 viene adottata da Winesurf, giornale per il quale, ispirazione permettendo, scrive e degusta senza smettere mai di imparare.


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