Assaggio Chianti Rufina: nonostante il Marchese degli Albizzi…3 min read

Certi doni hanno un valore incalcolabile; per esempio quello che il grande Beppe Lo Russo mi ha fatto ad agosto in Puglia. Un libretto stampato nel 1877 dove il Marchese Vittorio degli Albizzi parla degli impianti sperimentali di uve non autoctone nella sue tenute di Pomino, Nipozzano ed in generale nella zona della Rufina.

Queste sperimentazioni, riguardanti soprattutto vitigni come Gamay, Cabernet, Pinot Nero, Sirah (lì chiamato Sirrah) e Petit Verdot vengono poi valutate da una commissione scientifica,  dove il presidente è un certo Barone Bettino Ricasoli.

Dal meraviglioso libercolo, che  ti presenta in maniera precisa uno spaccato di storia enoica, ricaviamo due dati principali

 

•    Le uve alloctone, nella zona della Rufina, sono presenti da molto tempo

•    Allora come adesso, far maturare bene il Sangiovese (ed anche le altre uve..) in quelle terre, specie in quelle che l’Albizzi definisce “zone alte”, non era proprio facile.

L’attuale zona del Chianti Rufina è praticamente la stessa dove allora si produceva generico Chianti: un territorio che, dalle porte sud di Firenze, sale verso l’appennino. Una terra difficile e bellissima, dove da sempre si è fatto vino e dove da sempre il produttore ha dovuto sudare sette camicie per farlo di buona qualità.

La trentina di vini, (raccolti e preparati  dal Consorzio Chianti Rufina nella stupenda cornice della Villa di Poggio Reale) che hanno interessato il nostro assaggio sono un campione abbastanza esaustivo delle potenzialità di questo territorio.

Un territorio che come filo conduttore ha quello di non avere praticamente fili conduttori. Oltre alle differenze altimetriche ci sono quelle geologiche, quelle ambientali, quelle culturali e colturali che fanno della Rufina una pietra (abbastanza) preziosa molto ma molto sfaccettata.
Quello che dicevo nemmeno due mesi fa nell’articolo dedicato all’anteprima “… ho trovato almeno cinque tipologie: il tradizionale, il tradizionale ma non troppo, l’internazionale, il superbarriccato per niente pronto (almeno spero per lui) e  il pronto-pure-troppo.” Devo ripeterlo con alcuni distinguo.

Con tutto il rispetto per il Marchese degli Albizzi (le cui conclusioni sui vitigni alloctoni vedevano però primeggiare Sirah e Gamay..) , anche se il Cabernet Sauvignon  o il Merlot nascono bene in zona, il Sangiovese nasce meglio. Il problema è l’altalenanza della qualità del Sangiovese vendemmia dopo vendemmia, che è molto più alta di quella degli internazionali.

Con Cabernet e Merlot si sta quindi più tranquilli sul fronte della costanza di rendimento ma si sa in partenza che, pur venendo bene, avranno sempre quelle note vegetali più o meno spiccate che oscurano e non poco, l’espressione del bel sangiovese che si trova in zona.

Infatti Abbiamo trovato belli esempi di Sangiovese ed espressioni  buone ma monocordi di Sangiovese con aggiunta di internazionali;  per non parlare di vini ove la marca erbacea e vegetale era l’unica in campo. Tralasciando due tre “vini di San Giuseppe” mascherati dal troppo legno, quello che forse ci ha fatto più riflettere è stato il pensare al famoso assioma enologico "nella Rufina i vini migliorano negli anni". Se ne togliamo una parte non molto ampia (con alcuni nomi oramai divenuti certezze) questa affermazione non ci sembra molto aderente alla realtà dei vini assaggiati.

Con una media di 2.44 stelle l’assaggio non è andato nemmeno male ( anche se con un numero esiguo di campioni basta poco per alzare la media). Mancano le quattro stelle ma comunque abbiamo trovato tre vini veramente buoni ed una decina di ottimo livello, alcuni con prezzi anche molto interessanti

Insomma….c’è ancora da lavorare anche se si è iniziato molto prima del Marchese degli Albizzi.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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