Alla “cena al buio” non ho visto la luce, ma quasi6 min read

Ho partecipato alla “cena al buio” organizzata dall’Unione Italiana Ciechi di Siena.

Umanamente davvero intrigante,  ma ho dovuto cambiare radicalmente le mie aspettative: infatti non ho imparato “cosa i ciechi non hanno” ma “ciò che noi e loro abbiamo”. Vediamo perché.

 

Buio completo: in fila per sei, mano destra su spalla destra, siamo entrati in sala e arrivati al nostro tavolo, guidati naturalmente da un cieco e lui solo sapeva come riuscire ad orientarsi in quel buio assoluto.

 

Confesso che speravo non sarebbero riusciti a rendere l’ambiente talmente buio da non vedere proprio niente e invece le sole fonti di luce che ci assicuravano di non essere diventati ciechi anche noi erano due puntini rossi che indicavano la localizzazione delle luci di emergenza e una zona (minima) di penombra nel punto di passaggio tra le due tende che dividevano la cucina dalla sala da pranzo.

 

Vi assicuro due fonti di luce del tutto inutili per vedere, ma molto rassicuranti perché davano la certezza di essere ancora in grado di usare la vista, e questo serviva se non altro a diminuire il disagio.

 

Ci siamo subito trovati a cercare di superare l’angoscia profonda che ha preso il cuore e il cervello dei presenti per almeno il primo quarto d’ora (nessuno può farmi credere il contrario) sia usando le mani per delimitare l’area intorno a noi sia per individuare le cose che ci sarebbero state utili: una forchetta, un coltello, il bicchiere, il prezioso tovagliolo che (maledetto, non stava mai fermo!) nel corso della serata ho perso più volte.

 

Passo successivo la necessità di delimitare lo spazio dove sono io e quello dov’è la persona davanti a me, totalmente sconosciuta perché i tavoli sono stati organizzati in modo casuale. Toccarsi le mani è stato il modo per farlo senza rendersi conto che due sconosciuti di norma considerano questo gesto troppo intimo, mentre in quel contesto rappresentava un modo naturale per “vedersi” e capire dove finisce lo spazio di ciascuno.

 

Il tatto è stato per molti il senso più utile ma per me, che ho la fortuna di avere un naso abituato, l’olfatto mi ha aiutata molto a capire cosa c’era nel piatto e quindi a come affrontare il difficile compito di tagliare, infilare la forchetta nel relativo pezzetto di cibo e, massima difficoltà, riuscire a portare il boccone a destinazione!

 

L’antipasto è stato facile (si fa per dire!): crostini e salumi che tutti abbiamo scelto di mangiare usando le mani.

 

Dopo aver pregato intensamente perché il primo piatto non fossero pici (consapevoli che già facciamo danni vedendoci, figurati al buio), abbiamo “scoperto” che erano lasagne al forno e abbiamo tirato un sospiro di sollievo, certi di essere davanti a qualcosa di facile.

Ma certo,  come no? Provate a tagliarne un boccone – ovviamente dopo aver capito in quale punto del piatto sta – e poi a inforchettarlo e portarlo alla bocca.

Nessuno di noi c’è riuscito alla prima … e manco alla seconda o alla terza! Alla fine, fregandocene del galateo tanto non potevamo vederci, ci siamo rassegnati ad usare l’unico modo fattibile: inforchettare il pezzo intero e prenderlo a morsi.

 

Chi di noi non si vergognerebbe a farlo in una cena tra vedenti? Il buio ci ha resi dimentichi del galateo e di tutto ciò che esso comporta, però non accade la stessa cosa a un cieco quando è a tavola con vedenti.

 

Peggio che mai con il roastbeef dalle fette maledettamente fini,  per cui lo tagli e poi non sei assolutamente in grado di prenderlo con la forchetta.

 

Infine tiramisù, prima timidamente delimitato con le dita, e poi affrontato senza mezze misure!

 

Passiamo alle bevande: l’acqua frizzante era nella bottiglia bordata fortemente di scoth, la naturale in quella senza. Dovevamo ricordarci di rimetterle sempre allo stesso posto per riuscire a trovarle e soprattutto non dimenticare di ritapparle ogni volta, perché, se una bottiglia si rovescia facciamo il bagno.

 

Durante la serata ci hanno fatto dei semplici (per i ciechi) quiz, tipo sfidato a riconoscere le monete. Ognuno di noi ha vilmente barato ricorrendo a trucchi meschini del tipo “Sapevo di avere un euro in tasca” oppure “Oggi mi hanno dato il resto con diverse monete da cinquanta centesimi, quindi devo cercare quelle in numero maggiore”.

Espedienti che i ciechi ovviamente non possono usare e  quindi ci hanno spiegato che tutte le monete si riconoscono o per dimensione oppure perché hanno delle zigrinature laterali diverse (i cinquanta centesimi lo hanno su tutto il contorno, l’euro ha un canale e poi una parte liscia e così via). 

 

Questa l’esperienza pratica, ma quella umana?

Intanto posso solo tentare di immaginare l’angoscia di chi non ha più o non ha mai avuto coscienza di ciò che lo circonda. Di quanta energia e forza di volontà debba trovare in se stesso per affrontare una disabilità così grave.

Ho capito di quanto sia poco attenta ad usare gli altri sensi: il tatto per capire cosa mi circonda, l’olfatto per mangiare, ma anche per farmi l’idea di un ambiente.  Ma soprattutto l’udito per evidenziare lo spazio intorno a me (per la cronaca quando hanno acceso la luce mi sono sorpresa di quanto la sala fosse grande) e anche per banalità come riempire un bicchiere, perché solo sentendo il “glu-glu” che cambia capisci quando è pieno (a meno di non infilarci un dito dentro!).

Tra l’altro un vedente, quando si trova al buio, tende in genere  a compensare il fatto che non vede o alzando il tono della voce, oppure toccando la persona a cui si rivolge quasi a ribadire “Sono qui, ascoltami!”.

Ora invece ascoltatemi voi: avendo la vista la cosa più importante che facciamo quando conosciamo una persona è guardarla e farsene un’idea.  Un cieco non può farlo: è obbligato ad ascoltare per conoscere, ad andare in profondità prima di decidere chi ha davanti. Quindi niente giudizi affrettati dovuti al sesso, all’abbigliamento, all’estetica, all’espressione della faccia. Attenti quindi quando incontreremo un cieco: loro ci valuteranno con parametri che noi vedenti non siamo abituati ad usare e quindi a dosare.

Chiudo parlando della tecnologia moderna, che li aiuta molto ad essere più partecipi della vita di tutti i giorni(programmi sul telefono e sul computer che leggono testi o descrivono foto, fino a permettergli di farne), ma è comunque un piccolo aiuto in confronto alla loro sensibilità e alla voglia di essere partecipi del mondo che li circonda.

Non è vero che i ciechi sviluppano gli altri sensi, in realtà imparano soltanto ad usarli con maggiore attenzione e soprattutto ad essere uomini e donne vere, che sanno orientarsi grazie alla vista…interiore.

 

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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