Civiltà del Bere, non l’avevo riconosciuta!2 min read

Correva l’anno 1986 quando iniziai a girare seriamente attorno al vino e già allora (da più di dieci anni) c’era una rivista che si chiamava Civiltà del Bere. Tra gli addetti ai lavori, pur considerandola importante, era vista come “un po’ datata” per non dire “old style” o, non molto educatamente, vecchia.

 

Da allora sono passati molti anni e le volte che mi è capitato di darle un’occhiata non potevo che pensare a quel primo giudizio e confermarlo.

 

Tutto questo fino a ieri, quando mi è capitata in mano Civiltà del Bere  n° 1 del 2017.

 

Lì per lì, non avendola riconosciuta  mi sono domandato chi poteva avere il coraggio di fare una nuova rivista sul vino in Italia.

 

Poi ho guardato meglio, e strabuzzando gli occhi, mi sono messo a sfogliarla.

 

Non è cambiata solo la veste grafica, bella, moderna e funzionale, ma anche i contenuti; naturalmente cambiati in meglio, molto in meglio.

 

A parte le rubriche iniziali di belle firme del giornalismo enogastronomico,  spicca un’approfondita e ben fatta inchiesta sui legni per botti o barriques: le zone di produzione e di lavorazione, gli aromi che lasciano al vino, i vari modi per lavorarli, interviste a produttori di botti e barriques italiani e esteri. Una serie di servizi veramente interessanti e ben assemblati.

 

Si passa poi ad un focus sul Moscato d’Asti ed al lunghissimo lavoro sul “top delle guide” che, incrociando i risultati delle guide cartacee stabilisce i migliori vini in assoluto.

 

A proposito di vini, la cosa forse un po’ scontata sono i consigli enoici di alcuni redattori o collaboratori, mentre sono stato veramente contento di vedere altre firme di peso sotto vari articoli.

 

Insomma, con questo nuovo corso e veste grafica Alessandro Torcoli ha portato Civiltà del Bere quasi al livello con le maggiori riviste di vino europee. Dico quasi perché quello che per adesso manca è un certo “respiro internazionale”, anche se l’inchiesta sui legni fa molto ben sperare.

 

Complimenti.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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