L’Associazione Nazionale Donne del Vino ha realizzato un’indagine-sondaggio per comprendere le caratteristiche della presenza al femminile nel mondo del vino, ambito ancora contraddistinto da una presenza maschile preponderante se pur molto meno esclusiva che in passato.
Leggere i risultati mi ha molto incuriosita, visto che quando nel 1984, appena ventenne, ho iniziato a lavorare in questo settore, detenevo un doppio primato: ero la più giovane e spesso anche l’unica donna presente in tutti i contesti sia tecnici che promozionali.
In tre decenni la situazione è decisamente cambiata da entrambi i punti di vista, ma stranamente, almeno da quanto risulta dal sondaggio, non pare essere molto variata, specie per quanto riguarda un non troppo velato “sessismo” che sembra ancora imperare.
Come in quasi tutti i settori produttivi in Italia, la presenza delle donne è andata crescendo numericamente in modo esponenziale, ma non sembra esserlo altrettanto in quanto a raggiunta credibilità professionale, a uguali compensi rispetto agli uomini, a identiche possibilità di carriera e non solo allorquando decidono di avere figli con la conseguenza che questi arrivano in età relativamente avanzata.
Mi ritrovo pienamente nelle affermazioni della maggior parte delle intervistate (produttrici, enotecarie, sommelier, giornaliste, PR e anche consumatrici) che in sostanza dicono di faticare a far apprezzare le proprie capacità professionali che troppo spesso gli uomini pensano siano legate a prestazioni di vario genere piuttosto che ad una reale conoscenza del proprio lavoro.
A quante fiere e manifestazioni mi è stato chiesto dove fosse il direttore o una persona che sapesse rispondere a domande di tipo tecnico.
Le donne debbono sempre essere molto più preparate degli uomini per sperare di godere di analoga credibilità. E questo nonostante un livello di formazione scolastica mediamente piuttosto alto (43% di lauree di cui il 15% anche con un diploma post laurea delle produttrici, fino a raggiungere il 75% di laureate o con laurea post universitaria nel caso di enotecarie e sommelier).
Non sorprende quindi che, come fa presente il sondaggio, uno degli atteggiamenti che spesso finiscono con l’adottare sia quello di “conformarsi a comportamenti professionali e sociali maschili”.
Così nell’abbigliamento, spesso non solo in cantina dove è necessario, tendono ad evitare l’uso di tacchi alti e tailleur quasi che essere elegante voglia dire non capire niente di vino. Essere fuori casa per lavoro è vissuto come un togliere attenzione alla famiglia sia da parte delle donne che da parte della maggioranza degli uomini (ma solo nei riguardi del genere femminile perché per l’uomo “è lavoro”) e forse è questo il motivo per cui i figli arrivano più tardi quando le posizioni professionali sono meglio consolidate.
A dire il vero, in generale, i risultati di questo sondaggio sorprendono moderatamente perché la società italiana è ancora molto più maschilista di quanto voglia sembrare e dico “italiana” perché, almeno in nord Europa e in nord America la situazione è molto diversa … con buona pace di Trump!