Colli Berici: una realtà o un futuro ancora da disegnare?6 min read

L’invito è arrivato inatteso e mi sono precipitato ad accettare perché i Colli Berici sono (erano?) una realtà a me quasi completamente sconosciuta: dunque quale migliore occasione di un “press tour” organizzato dal Consorzio dei Colli Berici?  Una preziosa possibilità che ho colto al volo per avere una fotografia il più nitida possibile della zona.

 

Partenza con il botto: cena stellare in ristorante stellato; per l’occasione (il gruppo di giornalisti in sala) lo chef si accanisce in capovolte, piroette, giochi d’acqua, ricchi premi e cotillon; e così tra uno slalom  di infiniti sapori e nomi di piatti interminabili ho il primo impatto con i vini di quella zona.

 

I bianchi, alcuni piacevoli, altri ingenui, ma nulla più. Con i rossi già si cambia marcia e tra muscolari merlot e palestrati cabernet spuntano delle bottiglia di un vino esile, che quasi si vergogna a stare sulla tavola di fianco a cotanta esuberanza, ma che per me è certamente molto più interessante e bevibile. Colore rubino pallido, profumi piacevolissimi tra il vinoso, floreale e speziato, corpo leggero ma con buona vena acida e di fantastica beva. Si chiama Tai Rosso, (un tempo Tocai Rosso). Il nome non rende giustizia a questo vino che parte già così svantaggiato su tutti gli altri, ma il vitigno con cui è prodotto è la meravigliosa Grenache:  il gioco si fa interessante.

 

Dobbiamo sapere che l’uva Grenache  è il vitigno con l’estensione vitata più alta al mondo (200.000 ettari): nasce in Spagna ma è diffuso un po’ ovunque. Chiamatelo Garnacha, Grenache, Tokai Rosso o Cannonau, è sempre lui, ma non è annoverato tra i vitigni classici mondiali perché ha la particolare caratteristica di adattarsi organoletticamente al territorio in cui viene piantato (mi ricorda il film Zelig). Questo lo rende dal mio punto di vista molto molto più interessante degli altri vitigni internazionali.

 

Ma adesso inquadriamo i Colli Berici anche dal punto geografico: si trovano a sud di Vicenza, una formazione collinare che arriva ad altezze di 300 – 400 metri.

 

Un tempo fondali marini, si sono sollevati portando con se ricche formazioni calcaree di natura sedimentarie, che hanno formano suoli ad alta percentuale di  scheletro. Clima piuttosto asciutto e ottimo drenaggio naturale. I due vitigni autoctoni d’eccellenza sono la Garganega e Il Tocai Rosso; quest’ultimo è arrivato in dono ai Vescovi di Vicenza dal Papato di Avignone (1309–1377).

 

Alla fine dell’ottocento invece sono arrivate le varietà bordolesi a rimescolare le carte: qua sono cresciute in peso economico ed in estensione.

 

La prima DOC italiana a Cabernet Franc è dei Colli Berici, poi si scopre che tantissime vigne credute a Franc sono invece di un vitigno quasi identico morfologicamente, il Carmenere.

 

L’estensione da nordest a sudovest delle colline permette un’ottima esposizione delle vigne e il paese di Barberano Vicentino si offre da baricentro naturale per il parco viticolo Berico.

 

 

Ma torniamo all’evento.

 

La mattina seguente la prima degustazione: confronto tra Tai Rosso e alcuni vini a base Grenache provenienti da Francia e Spagna.

 

Come da copione vini diversi difficilmente comparabili ma piacevolmente territoriali: normalmente il Tai Rosso viene coltivato a pergola con rese generose di 4,5kg per pianta e matura tardivamente; da qualche anno la spalliera ha cominciato a sostituire la pergola.

 

Tutti i campioni di Tai Rosso hanno risposto molto bene all’assaggio, alcuni più rustici e poco “addomesticati” ma certamente veri e di ottima facilità di abbinamento a tavola. Un campione grasso e potente, sul legnoso, mi ha lasciato un po’ perplesso.

 

Nel pomeriggio degustazione del gruppo Cabernet e Carmenere alla presenza di molti produttori: su tutti è emerso un bellissimo vino da uve Carmenere, non identificabile con altri vini tipo Cabernet Franc (appunto).

 

Se il potenziale che questo vino mostra è rappresentativo di quello che potrebbe esprimere la zona allora varrebbe la pena concentrarsi anche sul Carmenere. Per il resto, gli altri campioni sono apparsi molto meno interessanti, ed in alcuni casi addirittura inadeguati.

 

Lascio i Colli Berici con sensazioni confuse e contrastanti: sono stato molto contento di aver avuto questa bella opportunità.

 

Malgrado la storia, sembra una zona ancora molto giovane che sta faticando ad emergere. Le cantine non sono moltissime ma il gruppo ne conta già una trentina.

 

Un elemento su tutti mi colpisce: cantine che fanno a volte massimo 50.000 bottiglie, hanno in catalogo 7, 8 o 10 vini: praticamente una babele di vitigni, Cabernet, Merlot, Sauvignon e tutto quanto di più scontato ed internazionale si possa avere, per arrivare poi al Tai Rosso.

 

Questo mi fa pensare che la zona non abbia ancora preso una strada forte e decisa nei confronti di un vino che possa diventare la bandiera del territorio. Al di la della più o meno buona pratica enologica dei singoli (che comunque ha ancora molti margini di crescita), vale la pena riflettere su quali carte la zona sta puntando, su quali sono i gioielli che vuole mostrare maggiormente al pubblico nazionale ed internazionale.

 

Purtroppo ho la sensazione che al momento ci siano alcuni vitigni (praticamente tutti gli internazionali: Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet franc, Sauvignon e Chardonnay) su cui le cantine stiano puntando di più, rispetto a quelli che invece mi hanno più emozionato.

 

Inoltre, last but not least,il flagello Prosecco, con i suoi prezzi al kg decisamente più alti del resto delle uve, sta togliendo spazio alla possibilità di un futuro enologico importante della zona.

 

La colonizzazione da parte di cantine di altre zone che stanno facendo dei Colli Berici un po’ il proprio serbatoio di approvvigionamento (Prosecco, Soave, la nuova DOC interregionale del Pinot Grigio) mi fa venire in mente la situazione del Bardolino di venti anni fa, quando le cantine della Valpolicella facevano shopping per soddisfare una domanda crescente dei loro vini.

 

Se penso ad un possibile futuro dei Colli Berici, sono convinto che puntare sul Tai Rosso potrebbe essere nel lungo periodo la carta vincente per fare uscire dal limbo una zona che potenzialmente merita di più; in seconda battuta anche il Carmenere potrebbe essere una bella alternativa, complementare al primo.

 

Ma prima di questo ci dovrà essere un interesse comune che porti i produttori a guardare avanti, con ottiche omogenee e non a guardarsi con diffidenza: dovranno disposti a rinunciare a benefici di breve periodo per garantirsi un’indipendenza e una forte, futura, territorialità.

 

Gianpaolo Giacomelli

È nato a Lerici, vive a Castelnuovo Magra ed è quindi uomo di confine tra Toscana e Liguria. Al momento della “scelta” ha deciso di seguire la passione per le cose buone invece del comodo lavoro dietro una scrivania. Così la “scelta” lo ha portato a Londra a frequentare i corsi per Master of Wine, finendo tempo e soldi prima di arrivare agli esami. A suo tempo ha aperto un winebar, poi un’enoteca e alla fine ha un’associazione culturale, un wineclub, dove, nella figura di wine educator, propone serate di degustazione e corsi. Fa scorribande enoiche assaggiando tutto quello che può, sempre alla ricerca di nuovi vini. Ha collaborato con varie testate del settore, contribuito alla nascita delle guide vini Espresso e Vini Buoni d’Italia prima di dedicarsi anima e corpo a Winesurf.


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