Teroldego e marzemino del Trentino: risultati contrastanti4 min read

Sono anni che ci intestardiamo a parlare assieme del risultato degli assaggi di questi due vitigni trentini e un motivo c’è. Come in geometria servono almeno due punti per delineare una linea retta, così nel mondo del vino (e non solo) è meglio avere due punti di vista e confrontarli  per capire meglio come stanno andando le cose.

 

Nel modo del vino trentino, oramai da anni, si prova a puntare principalmente sulle uve bianche e (soprattutto) sulle bollicine, mentre i rossi rimangono relegati non dico nelle retrovie o quasi. Pure tra i rossi però troviamo la serie A e la serie B: nella fattispecie il teroldego gioca in A e il marzemino in B.

 

I perché di questa differenza sono molteplici: da una parte un vitigno potente e muscolare, con alcuni interpreti famosi che ne hanno fatto parlare riuscendo così a colpire la fantasia enoica italiana, dall’altra un vitigno profumato e particolare, forse troppo particolare, che non invecchia certo bene  e viene considerato, anche dai produttori stessi, adatto più ad un consumo locale che al mercato italiano e estero.

 

Partendo da questi presupposti si capisce come per il teroldego il futuro sia molto più roseo, almeno come appeal per produttori e mercato, di quello del marzemino.

 

Oltre al il futuro a noi interessa il presente, ma anche i nostri assaggi hanno confermato quanto supposto. Lasciando da parte un attimo i risultati qualitativi, oramai da anni arrivano sempre meno marzemino in assaggio e di questi sempre meno sono veramente di livello alto. Mettiamo che la vendemmia 2015 non sia stata certo eccezionale per il vitigno (prima piogge in fioritura o poi caldo notevole) ma la sensazione generale è che il marzemino, in diversi casi, venga prodotto solo è soltanto perché ci sono i vigneti. Inoltre i prezzi che si spuntano sono abbastanza bassi e così si entra in un sistema che sembra mordersi la coda e puntare sempre più ad una lenta scomparsa del vitigno.

Ma “prima che scompaiano” parliamo un attimo dei 2015, dove il frutto è presente ma forse meno immediato del solito. In bocca una discreta armonia generale con qualche vino a cui manca la classica linearità, chiudendo con una nota leggermente amara.

 

 

Veniamo adesso al teroldego, che quest’anno abbiamo avuto modo di apprezzare anche durante il concorso organizzato dall’Istituto di San Michele all’Adige.

Già lì ci eravamo espressi sulle grandi potenzialità ma anche sulla difficoltà di allevamento di questo vitigno, tanto produttivo quanto difficile da portare a reale maturazione fenolica.

 

Non per niente il disciplinare è uno di quelli con la più alta resa per ettaro d’Italia, mentre la produzione di qualità punta naturalmente in senso opposto, correndo spesso, in passato, il rischio di sfornare vinoni monolitici ma comunque dalle incerte possibilità di invecchiamento. Accanto a questi da qualche tempo si cominciano a trovare ed apprezzare teroldego più vibranti, elastici, non solo meno marcati da legno, ma da una parte meno estratti a dall’altra  più profondi sia al naso sia alla beva.

 

Gli assaggi di quest’anno, con diversi vini che puntano in questa seconda direzione,  ci hanno indubbiamente soddisfatto. Le due annate principali prese in considerazione per i Teroldego “da invecchiamento” (2014-2013) non sono certo state calde e questo ha portato forse ad alcune conseguenze pratiche: da una parte si è dovuto diminuire il carico di uva per ceppo e dall’altra allungare il periodo di maturazione in pianta, arrivando così in maniera per niente forzata ad un buona maturazione sia alcolica che fenolica. Forse per questo diversi vini hanno mostrato una freschezza ed una linearità tannica che in passato non sempre era presente. Diciamo comunque che i “Golia” stanno perdendo appeal a vantaggio di alcuni “David” non certo gracili o esili, ma con i muscoli giusti al punto giusto.

 

Comunque, sia  David o Golia, il teroldego è il vino-vitigno rosso di punta di moltissime cantine trentine, mentre il marzemino sembra sempre più assumere il ruolo di vino-vitigno “Cenerentola”. Questo non può che voler dire che, i vini semplicemente immediati e piacevoli difficilmente toccheranno il grande pubblico, che magari li apprezzerebbe anche…meditate gente, meditate

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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