Quando il sughero è vita4 min read

Addetto alla griglia era un signore non più giovane. Cuoceva pesci, forse sardine ma grandi il doppio del normale, che mandavano un odore invitante.

La griglia era all’ombra di un grande quercia da sughero, cosa piuttosto normale se si pensa che si trovava in una “foresta” di querce. In Portogallo una foresta di querce prevede che le piante siamo da pochi a qualche decina di metri distanti l’una dall’altra, nel rimanente spazio, sassi, macchia mediterranea, sterpaglia e naturalmente (in estate) caldo della madonna.

 

Ma perché ero in una foresta di querce? Perché il “viaggio attraverso il sughero” a cui ero stato invitato da Amorim, prevedeva  come inizio una visita-camminata in una foresta,  per vedere come il sughero viene decorticato, cioè staccato dalla quercia.

 

Non poteva iniziare che da lì, dalla quercia e dal suo sughero, un viaggio che mi ha fatto capire che per i portoghesi (non solo quelli che ci lavorano e ci campano) la quercia da sughero non è solo una pianta.

Provate a tagliare una quercia e vi ritroverete in galera, decorticate una pianta che non abbia compiuto 25 anni di vita ( le volte successive prima dei 9 anni regolamentari) e sarete passibili di offese  e pedate nel culo, entrambe pesantissime.

 

Non dico che le querce in portogallo siano considerate come le vacche sacre in india, questo no, ma solo per il motivo  che i portoghesi le querce non stanno a guardarle ma le piantano, le fanno crescere, le curano, le usano, le rispettano, se proprio vogliamo le sfruttano (con regole precise). Molto poco sacro invece è il detto che il sughero è come il maiale, non si butta via nulla.

 

Ma torniamo al signore che cuoceva i pesci: li stava preparando per il pranzo dei  decorticatori, quelli che di mestiere spogliano con delicatezza una quercia del proprio sughero e che proprio in quel momento stavano arrivando dall’interno della foresta su dei camioncini.

Il pranzo era solo per loro; per noi c’era invece, dopo aver assistito alla decortica,  la seconda tappa, quella dello stoccaggio del sughero:  uno sull’altro e uno accanto all’altro, per formare squadrati parallelepipedi  lunghi e larghi decine di metri ,alti almeno 3-4. Questi “quasi palazzi” di sughero saranno poi visti dai vari acquirenti , valutati, comprati e poi trasportati nelle rispettive aziende per essere prima stagionati ulteriormente e poi lavorati.

 

A questo punto chiedo aiuto al web ed in particolare ai filmati che abbiamo pubblicato sulle varie lavorazioni del sughero, che vi spiegheranno in pochi minuti tutto quello che accade quando si passa dalla quercia da sughero al tappo per le nostre bottiglie.

Ho detto tappo? Potevo anche dire scarpa, suola, pavimento, souvenir,materiale  isolante, scenografia (i muri che Hulk sbriciola sono di sughero…) e molte altre cose a cui la versatilità del sughero(ricordate? È come il maiale etc…) si presta.

 

Ma andiamo oltre la versatilità: per me la quercia da sughero è forse la pianta più altruista che esista. Non solo cresce senza bisogno di essere accudita, non solo produce praticamente a costo  zero una materia prima eccezionale come il sughero, non solo produce anche nutrimento per gli animali che volutamente vengono messi a pascolare nelle foreste,  ma  fornisce anche l’energia per lavorare il sughero che produce. Infatti diversi macchinari per la lavorazione funzionano con gli scarti legnosi del sughero e qui per  me si va oltre il parallelo con il maiale.

 

Ammetto che questa pianta semplice, lineare, ruvida e rustica, mi ha conquistato, al pari del modo assolutamente rispettoso e geniale di utilizzarla. CI fosse lo stesso rispetto in altri metodi di coltivazione o allevamento forse il mondo (non solo agricolo) andrebbe meglio.

Quindi propongo la quercia da sughero come “pianta esempio” a cui ispirarsi in un mondo dove l’uomo rispetti veramente la terra che gli dà  il pane:  se poi alla fine ci sarà qualche bottiglia che saprà di tappo pazienza! Una pianta, un ciclo vitale, un metodo produttivo del genere può anche permetterselo.

 

Chiudo con un pensiero ispiratomi dal sughero: mi piace  immaginare che si produca solo nel bacino del Mediterraneo perché un po’ assomiglia ai popoli latini che vi si affacciano. Popoli sulla carta di poco peso, “più leggeri di altri” che poi dimostrano invece  un’anima ferma ma elastica, di grande versatilità e inventiva, spesso più adatta a risolvere i casi della vita.

Italiani, spagnoli,  francesi del sud, portoghesi  “una faccia, una razza”? 

Popoli che si sono ispirati al sughero o forse è il sughero, che guardandoci silente per secoli, si è ispirato a noi?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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