Là, ove osano i Verdicchio!3 min read

Sir Winston Churchill, quasi al termine della sua lunga e movimentata vita, venne intervistato da una giovane giornalista che gli chiese anche il segreto della sua longevità.  Immediata la risposta dello statista “Lo sport! Non l’ho mai praticato!”

 

Parafrasando mi piacerebbe tantissimo domandare prima a Carlo Pigini e poi ad Agostino Pisani (il passato ed il presente del Verdicchio di Colonnara) il segreto della longevità del Cuprese e sentirmi rispondere all’unisono “L’invecchiamento in legno, non l’abbiamo mai fatto!”

 

Ma in realtà sarebbe riduttivo e sbagliato attribuire il merito delle oramai mitiche possibilità di invecchiamento di questo Verdicchio, nato nel 1985, all’aver rinnegato sin da subito le false chimere della maturazione in legno.

 

La verità è figlia di molti fattori. Prima di tutto un vitigno (il verdicchio) molto adatto all’invecchiamento, in seconda battuta il territorio di Cupramontana, certamente uno dei migliori della denominazione specie se si parla di serbevolezza nel tempo.  Poi il quasi non voler cedere alle chimere del mercato, mettendo in commercio un prodotto quasi sempre molto chiuso e riottoso all’inizio per poi aprirsi e stabilizzarsi ad altissimi livelli nel corso degli anni.

 

Voglio anche metterci la grande maestria di Carlo Pigini, enologo che ha fatto (assieme a qualche altro Carlo, come Garofoli) una bella fetta della storia recente e meno recente del Verdicchio dei Castelli di Jesi.

 

Per questo quando c’è la possibilità di degustare vecchie annate di Cuprese non mi tiro mai indietro e anzi cerco di creare l’occasione. In più riprese credo quindi di aver degustato tutte le vendemmie di questo vino ed averlo avvicinato più volte a nomi importantissimi dell’enologia mondiale, partendo dalla finezza degli  Chabils per arrivare alla metallica freschezza dei Sancerre.

Gli ultimi assaggi di vecchi Cuprese li abbiamo fatti nemmeno un mese fa, degustando 2003, 2002, 1999 e 1991.

 

 

Cuprese 2003

Annata stracalda, ma la magnum di Cuprese non si sposta di un millimetro da un naso con note minerali accanto e fini sensazioni di frutta bianca e da un palato che ha in una corposa sapidità il suo leit motiv. Un vino che dimostra come il Verdicchio, specie in zone alte (diamo sopra ai 300 metri) riesca a dare risultati eccezionali anche in vendemmie sahariane.

 

 

Cuprese 2002

Ambrato molto brillante  assolutamente vivo, naso ampio e profondo con nota di pan brioche, miele e burro. All’opposto del 2003 la 2002 è stata un’ annata piovosa  ma il vino e solo “diversamente molto vivo”. Si notano anche lievi sentori di  muffa nobile accanto ad un’ acidità lineare e pulita. Forse e per fortuna manca un po’ della carnosa rotondità del 2003, in compenso la sua austera finezza è di grande livello

 

 

Cuprese 1999

Ancora non c’era l’euro, i telefoni ni servivano per telefonare, ma il colore del 1999 è più giovane di un Nokia di quell’anno.  Sembra ci sia del legno (come nel 2002), ma non c’è. Acidità complessa  che vira sul sapido, profondo e vivo con nota leggermente agrumata. In bocca sembra Verdikkio, tanto è teutonica la sua vivissima freschezza.

 

 

Cuprese 1991

Annata freschissima, una “tragedia” dopo la grande 1990. Comunque il colore è perfetto e il naso ha prorompenti note balsamiche e sentori che vanno dalla coccoina al pan brioche abbastanza tostato. Molto profondo al palato con un’acidità quasi assoluta, lunghezza  infinita e grande bevibilità.

 

Della batteria facevano parte anche il Cuprese 2015, di cui parleremo nella degustazione dei vini dell’ultima annata e il 2013, ancora un bambino dal punto di vista dell’invecchiamento.

 

Insomma, là dove osano i verdicchio (Colonnara, ma non solo) difficilmente altri vini bianchi possono arrivare. Meditate, gente, meditate ma soprattutto provate le grandi potenzialità di invecchiamento dei Verdicchio dei Castelli di Jesi.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE