Salvato dalla outlettizzazione di Firenze dagli Orcia DOC di Capitoni4 min read

Erano diversi mesi che non entravo nel “centro-centro” di Firenze, tanto per capirsi quella zona che potrebbe avere come baricentro  il Duomo e il Battistero e  come grossolani confini Ponte Vecchio, la stazione di Santa Maria Novella e Piazza San Marco.

Ci sono arrivato a piedi da Poggio Imperiale (estrema periferia, per chi non conosce Firenze garantisco che sono 30 minuti a piedi) e così ho potuto rendermi bene conto, con crescente mal di pancia, dell’outletizzazione del centro; zona che potrei definire “ il triangolo dei bermuda” in onore degli abiti indossati dalle frotte di turisti che la frequentano.

 

Perché ci sono venuto? Perché in questo outlet di fatto si trova Eataly e dentro Eataly c’era una presentazione dei vini di Marco Capitoni. Voi mi chiederete cosa c’azzeccano in vini di Capitoni con lo scempio del centro di Firenze: pazientate e saprete.

 

Intanto potreste farmi una domanda “Come si fa a dire che una delle città d’arte più belle, più “UNICHE” del mondo sia diventata, almeno in parte una specie di outlet?”

 

Lo si può dire senza problemi perchè sopra alla struttura architettonica (unica ma ridotta quasi ad una quinta teatrale, visto l’interesse che hanno per la storia dell’arte i bermudisti) sono stati appiccicati, infilati, stipati centinaia di negozi, di marchi commerciali uguali –a –se-stessi, che non solo puoi trovare in ogni outlet o in ogni città del mondo, ma che rendono appunto il centro di Firenze uguale a quello di Parigi, di Londra, di New York e compagnia. Puoi anche mangiare le stesse cose, gli stessi panini (non mi riferisco solo a Mc Donalds) bere le stesse bevande… non vi sembra perfettamente tragico?

 

C’è di più:  arrivando a Eataly  mi  accorgo che Via Martelli è diventata pedonale: questo potrebbe essere anche un bene se i pedoni non fossero solo “bermudisti”. Infatti uno dei problemi collegati alla outlettizzazione è che da questa zona sono spariti i fiorentini: ci lavorano ma non ci abitano e i pochi che ci abitano mi domando come possano viverci.

 

Se tutto questo succede in una città che non conosci non ci fai molto caso, ma quando accade in un luogo che consideri  un po’ tuo, dove hai vissuto, studiato, scherzato, trascorso momenti indimenticabili, allora ti vengono a mancare le certezze e ti viene la paura che anche la tua vita sia un outlet mentale, una ripetizione in svendita di altre vite, di altri momenti uguali in altre città uguali, brutalmente e cinicamente uguali.

 

Ti ci vuole qualche cosa che ti faccia capire che le diversità esistono ed eccoci così al Troccolone.

Cos’è il Troccolone? È il nuovo vino di Marco Capitoni, un Orcia Rosso (sangiovese) che sembra un rosato, che forse non è un vino perfetto ma è un vino vero, che non può nascere se non in quella zona, da quelle mani.  

Quando lo ha presentato Marco ha detto “Potrà suonare semplicistico ma con questo vino volevo solo prendere l’uva e farla diventare un vino con gli stessi profumi, le stesse caratteristiche.” Insomma, voleva fare un vino preciso, forse non prefetto ma unico, e due sorsi di questo profumatissimo rosso/rosato/strutturato che da il meglio di sé a tavola con la meravigliosa panzanella preparata da Antonella (moglie di Marco) mi ha rimesso con i piedi per terra.

 

Ma come si fa, anche se hai assaggiato il Troccolone,  a non pensare alla Firenze attorno a te, brutalmente standardizzata per turisti che vogliono viaggiare stando, anche mentalmente, a casa propria, per gente che in viaggio non vuole rischiare di viaggiare, di fare cose diverse dal solito.

Forse ci vuole qualcosa di assolutamente diverso anno dopo anno, come l’Orcia DOC Frasi, che è diverso ogni anno perché ogni vendemmia è diversa e perchè il sangiovese si comporta, scusate il termite antico, in maniera schietta. Forse puoi amare l’ampia potenza e ampiezza del grande 2006 o magari preferisci un qualcosa di più armonico e rotondo come il 2009, o ancora qualcosa di ruvidamente fresco come il 2012.

Quello che scegli non importa, l’importante è che ti renda conto di essere davanti a vini diversi tra loro, unici, “periferici” in quanto lontani anni luce da vini “da centro città”, ripetitivi, uguali ovunque e sempre.

 

Ecco che cosa c’entrano i buoni, ma soprattutto veri, vini di Marco Capitoni nell’outletizzazione di Firenze. Oggi per alcune ore sono stati la cosa più vera, buona  e realmente unica che avevo attorno.

Non vi nascondo che dovendo fare il percorso a ritroso mi era venuta voglia di chiedere a Marco una bottiglia, da bere quasi come antidoto per riuscire a ad attraversare indenne il  triangolo dei bermuda. 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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