I vini con le tette finte!5 min read

La prima reazione leggendo il breve ma estremamente importante articolo del nostro enologo fantasma sul tema dell’ipperriduzione (vedi: Passion fruit: ovvero come nascono certi vini con certi profumi) è stata una risata, molto ma molto amara. Vi spiego perchè! Una delle tappe fondamentali della mia formazione di degustatore è stata, circa 10 anni fa, frequentare il corso di Master of Wine. Esperienza che tutti dovrebbero provare: ti allarga gli orizzonti, ti permette di entrare in contatto con realtà enoiche e personaggi di altissimo livello. In particolare durante le lezioni si assaggiano vini di ogni parte del mondo tra cui i Sauvignon neozelandesi della zona di Marlborough.
Avevano (ed hanno) profumi particolarissimi, lontani (allora) anni luce dai nostri Sauvignon: niente pipì di gatto o note di fico ma frutta tropicale ed in particolare “Passion Fruit” da tutti identificato come carattere peculiare che solo quel terroir poteva apportare. Ne 2002 passai quasi due mesi tra Australia e Nuova Zelanda con almeno tre-quattro giorni dedicati a visitare le cantine di Marlborough. Non rimasi molto impressionato dalla viticoltura (allora la vite più vecchia in zona aveva 18 anni…..) che tendeva molto alla quantità su vigneti giovani. I profumi nei vini però c’erano e quei sauvignon erano effettivamente particolari. Accadde però una cosa: per approfondire al meglio acquistai una ventina di etichette di Sauvignon Blanc, mi feci un assaggio comparativo e poi misi le bottiglie in frigo per riassaggiarle il giorno dopo. Ma la mattina successiva i vini avevano perso tutti i profumi! Sul momento detti la colpa alla qualità non eccelsa dei vini acquistati, tra cui mancavano (devo dirlo per onestà) i marchi più importanti e conosciuti.
Facciamo un salto di 4 anni: sono in Sicilia in una importante azienda e mi fanno assaggiare un Catarratto che ha gli stessi profumi dei sauvignon neozelandesi. Rimango stupito! E rimango stupito anche quando, dopo pochi giorni, assaggio un vermentino toscano ed uno Chardonnay altoatesino con gli stessi aromi di “passion fruit”. Comincio a domandare il perchè a vari enologi e tutti glissano più o meno elegantemente, parlando di lieviti, annate particolari etc. Ora ho capito! Altro che carattere del terroir: il profumo del frutto della passione (e molto altro…..) si ottiene in cantina, sia che questa si trovi in Sicilia, Nuova Zelanda, Trentino o Alto Adige. Non per niente quest’anno diversi Sauvignon altoatesini sembravano fatti in Nuova Zelanda ( addirittura perdevano i profumi se lasciavi la bottiglia aperta per una notte….)
Fin qui, pur con qualche titubanza, non ci trovo (quasi) niente di male. La tecnologia avanza e certe metodologie portano comunque a vini piacevoli e più facilmente ed immediatamente apprezzabili dai consumatori.
Ma, se ci penso bene, sono almeno 15 anni che noi giornalisti del vino (italiani ed esteri) parliamo con ardore degli inimitabili aromi dei sauvignon degli antipodi, attribuendoli a fatati terroir, inimitabili posizioni, viticolture d’avanguardia, quando invece basta seguire il processo descritto dal nostro enologo ed il gioco è fatto.
Come dicono le persone colte ed educate “Ci siamo fatti prendere per il culo!” e la mia paura (visto lo sviluppo della tecnologia dovrei dire certezza) adesso è che continuino a farlo impunemente. Se ci sono voluti quindici anni per capire questo, che credibilità può avere la nostra categoria? Quante matte risate dietro le spalle avranno fatto gli enologi leggendo commenti accorati su vini sapientemente “risistemati”? Quale sarà il nostro ruolo in futuro: sdoganare vini senza farsi tante domande o investigare su quanto di giusto o sbagliato viene fatto in vigna o in cantina. Parliamone! Intanto andiamo avanti e tocchiamo il secondo puntum dolens. Una tecnologia di cantina che porta a rendere più intriganti ma fondamentalmente globalizzati i profumi, a unificarli dall’Islanda al Sud Africa, lavora a vantaggio o contro il mondo del vino?
Facciamo un esempio, tutti noi maschietti siamo molto colpiti da giovani attricette che fanno bella mostra di se con tette e culi chiaramente rifatti. La frase ricorrente è “Saranno anche rifatte…ma per una botta e via…..” Poi ti capita di parlarci con queste signorine, magari vedendo di approdare alla “botta e via” e ti accorgi che dietro quel davanzale di silicone c’è il vuoto mentale. Spesso Non sanno parlare, non hanno idee: sono persone con lo spessore della carta su cui stampano le tanto agognate foto (piccola parentesi per dire che il giochetto può e deve essere ribaltato sulle signore che ammirano culturisti più o meno pompati).
Un vino che ha bei profumi globalizzati e li perde dopo una notte (non di sesso…e quindi rimani ancora più di sasso….) è un prodotto siliconato, pompato, comunque non naturale. Forse piacerà di più ma farà scordare alla gente quale è la realtà. La realtà non sono le tette finte (alias profumi) ma il duro e serio lavoro nel vigneto ed una vinificazione che non va a inventarsi niente ma rispetta le caratteristiche delle uve. Non voglio demonizzare la tecnologia e la scienza: so perfettamente che anche la chirurgia estetica ha compiti importanti, che vanno molto aldilà di rendere più graziose alcune parti del corpo, ma dove sta il limite?
Ed in enologia dove sta il limite? Io ( magari spero di essere solo) adesso non riesco a vederlo ed ho anche paura che per molti non esista!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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